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Ha rivoluzionato il concetto stesso di architettura attraverso una cultura del progetto visionaria e fluida, dinamica e ondulatoria. Dame Zaha Hadid, nata nel 1950 a Baghdad, irachena d’origine ma naturalizzata britannica,  improvvisamente scomparsa a Miami la mattina del 31 marzo 2016, è stata la prima donna a essere insignita nel 2004 del Pritzker Prize, in architettura l’equivalente del Premio Nobel, oltre al premio Stirling e alla medaglia d’oro del Royal Institute of British Architects, RBA.

Una concezione creativa legata alla scuola del decostruzionismo, in cui la materia accentua soluzioni a zig zag, spigoli acuti, pareti oblique, slittamenti planimetrici. Il movimento, la sinuosità degli elementi e una nuova forma di volumetria geometrica si inseriscono nell’ambiente come naturale prolungamento, sospesi in una dimensione effimera fatta di leggerezza. Edifici che sembrano sfidare le leggi di gravità ma che nella genialità di Zaha Hadid vengono plasmati in perfetta armonia ed equilibrio con il tessuto urbano in cui si posano. E in ogni parte del mondo – da Londra a Roma, da Guangzhou all’Azerbaijan, da New York a Miami – ha lasciato le proprie tracce, segni intrisi di emozione e sensualità che hanno reinventato le città come il MAXXI Museum a Roma, l’Opera House di Guangzhou, l’Heydar Aliyev Center a Baku, il Galaxy Soho di Pechino, il London Aquatics Center di Londra, City Life a Milano, l’Opus di Dubai…

Progetti che si fanno narrazione e architetture visionarie che disegnano il futuro spingendo la creazione in un altrove inedito.

Nell’atto creativo prende forma l’idea originaria e la sfida di Zaha Hadid è sempre stata quella di donare una forma a ogni sua visione.

Sfidando ogni confine.

Thank you, Zaha