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L’eleganza come atto di affermazione nella nuova mostra del Costume Institute

Il 10 maggio 2025 aprirà ufficialmente al pubblico al Metropolitan Museum of Art di New York l’attesissima mostra “Superfine: Tailoring Black Style”, destinata a diventare una delle esposizioni più significative degli ultimi anni nel panorama della moda e della cultura visiva. Promossa dal Costume Institute e in programma fino al 26 ottobre, questa rassegna non è solo una celebrazione dell’eleganza, ma un’indagine profonda sull’identità nera attraverso il linguaggio del tailoring.

Un nuovo canone per la moda maschile

È la prima volta che il Costume Institute dedica un’intera mostra alla moda nera in modo così esplicito, e solo la seconda volta che si concentra sulla moda maschile. Ma Superfine non è solo un progetto museale: è una dichiarazione culturale, politica e personale. Curata da Andrew Bolton con la collaborazione di Monica L. Miller, docente alla Columbia University e autrice del saggio Slaves to Fashion, l’esposizione propone un viaggio estetico che attraversa oltre 300 anni di storia della diaspora africana, attraverso la figura carismatica e ambigua del dandy nero.

Dandy nero: stile, resistenza, espressione

Il dandy – tradizionalmente associato alla raffinatezza maschile e alla cura maniacale dell’aspetto – assume in questo contesto una nuova rilevanza. Nella cultura nera, l’atto del vestirsi non è mai neutro: è una forma di affermazione, spesso anche una forma di resistenza non violenta. Scegliere la propria immagine, sottrarsi agli stereotipi, riscrivere il codice dell’eleganza: tutto questo è parte della grammatica del black dandyism, che Superfine esplora nelle sue mille sfaccettature.

Il percorso della mostra: tra memoria e stile

Tra gli oggetti esposti spiccano capi d’epoca e creazioni contemporanee che dialogano tra loro in un gioco di echi e rotture. Si va da una livrea ottocentesca in velluto magenta – indossata da uno dei cosiddetti “schiavi di lusso” – ai capi di alta moda disegnati da stilisti neri come Olivier Rousteing per Balmain, Ib Kamara per Off-White, Pharrell Williams per Louis Vuitton, Willy Chavarria, Raul Lopez di Luar, Grace Wales Bonner e Bianca Saunders.

Ogni pezzo racconta un frammento di storia, di corpo, di libertà. L’opulenza delle uniformi militari, i ricami anatomici, i riferimenti alla cultura caraibica e afroamericana, i tagli destrutturati e gli abiti performativi celebrano l’arte di indossare se stessi.

Mascolinità in transizione

Uno degli assi portanti dell’esposizione è la riflessione sul concetto di mascolinità, messo in crisi e riformulato attraverso il vestire. Il dandysmo nero si oppone alla sobrietà imposta dal cosiddetto “grande rinnegamento” dell’apparenza maschile avvenuto nel Settecento europeo, quando il potere si travestì di grigio, rigore e invisibilità.

In risposta, il dandy nero si appropria di simboli storicamente esclusivi – come il completo formale – per smontarli, reinventarli, renderli narrabili, e restituirli al mondo con nuovi significati. Non è solo una questione di moda: è una messa in scena consapevole del sé, una performance che attraversa i generi e le classi sociali, come testimoniano icone attuali come A$AP Rocky o RuPaul, la cui influenza è sempre più centrale nell’immaginario contemporaneo.

Un tributo alla comunità, prima del Met Gala

La mostra arriva in perfetta sincronia con il Met Gala 2025, di cui Louis Vuitton è main sponsor. Non a caso, il dress code della serata, Tailored For You, è un tributo diretto ai temi esplorati da Superfine. L’eleganza nera, intesa come linguaggio di libertà e affermazione, è oggi più che mai al centro della cultura visiva globale.

La mostra non propone una visione unica, ma un mosaico di espressioni, dalla sobrietà regale alle esuberanze barocche, dimostrando come il dandysmo nero non sia una categoria, ma una possibilità plurale, un atto d’amore verso sé stessi e verso la propria eredità.

“Finally, we can be who we are”

A fare da colonna sonora ideale a Superfine, anche il nuovo brano del musicista britannico-jamaicano SBK, in cui si canta: “Finally / we can be / who we are / what we dream / this is us”. Un inno alla libertà di essere e di apparire, che racchiude l’anima stessa dell’esposizione.

Perché in fondo, come suggerisce Monica Miller, il dandysmo nero non è una tendenza. È una pratica culturale viva, che continua a evolvere, a dialogare con il mondo, e a ridefinire cosa significhi essere visti. E Superfine è il suo specchio più lucido.